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Channel: Parigi – La città nuova
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Qualcosa di meraviglioso: la storia di Fahim Mohammad, giovane clandestino bangladese campione “francese” di scacchi, diventa un film

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Nel 2008 Fahim Mohammad ha otto anni: per sfuggire al rapimento da parte di un clan rivale, il padre Nura lo costringe ad abbandonare Dacca, la sua città natale, e a scappare insieme a lui a Parigi. Il distacco dal Bangladesh -per quanto terra di conflitti e violenze- viene vissuto in maniera emotivamente faticosa e dolorosa: sensazioni amplificate da quelle, simili se non peggiori, provocate dal viaggio e dall’approdo in Francia (nonché, dalle sue conseguenze).

Alle sue spalle il ragazzino lascia una vita piena, di affetti e di divertimenti, per intraprendere un percorso fatto di difficoltà, restrizioni, pericoli e paure: quello di un sans papiers, che è anche senza casa e senza soldi. In attesa di un asilo politico che gli viene negato, vive sotto la costante minaccia di essere espulso da un Paese a lui straniero (e che lo percepisce come tale), di cui non conosce neppure la lingua.

La sua odissea è paragonabile a quella di molti immigrati, ma lui nasconde un asso nella manica: il talento per gli scacchi, a cui ha iniziato a giocare a cinque anni. Sarà questo a salvare la sua vita e, nello stesso tempo, a mettere in luce l’assurdità della politica francese (e, ovviamente, non solo) che -concentrata nella lotta al terrorismo e nella difesa dei propri confini- guarda all’immigrazione (soprattutto se musulmana) come un pericolo da cui proteggersi in ogni modo. Dimenticando tra l’altro l’accrescimento, non solo economico, che può apportare.

A svelare le potenzialità dell’accoglienza e a evidenziare le distopie del respingimento, è (anche) la vicenda di questo giovanissimo clandestino bangladese che nel 2012, all’età di dodici anni, diventa campione “francese” del torneo mondiale studentesco di scacchi.

Il paradosso insito nella sua condizione viene portato alla ribalta nel maggio dello stesso anno, tra il primo e il secondo turno della campagna presidenziale: un’ascoltatrice, durante una trasmissione in diretta, telefona al premier François Fillon e gli chiede «Non pensa che lo Stato dovrebbe regolarizzare un ragazzino perfettamente integrato come Fahim Mohammad? È campione di Francia ma non può partecipare agli europei perché è ancora sans papiers». Grazie a questa chiamata lui ottiene prima il permesso di soggiorno e poi la cittadinanza francese.

Oggi ha 19 anni, va all’università e vive a Créteil: la banlieue a sud di Parigi che l’ha accolto quando è arrivato, e dove ha iniziato a frequentare la scuola di scacchi guidata dal maestro Xavier Parmentier. L’uomo che gli ha permesso di “svoltare”.

La sua parabola a lieto fine, narrata dal protagonista per aiutare chi era nella sua situazione ma educativa soprattutto per chi guarda in modo cieco all’immigrazione, è raccontata nel libro autobiografico Un re clandestino (Bompiani), scritto insieme all’allenatore, al padre e alla scrittrice Sophie Le Callennec.

Il 5 dicembre di quest’anno esce, anche sugli schermi italiani, la sua trasposizione cinematografica, intitolata Qualcosa di meraviglioso, diretta da Pierre-François Martin-Laval e prodotta da Patrick Godeau: il film ha come attori protagonisti Ahmed Assad, che interpreta Fahim, Gérard Depardieu, nel ruolo del maestro e Mizanur Rahaman, in quello del padre.

Le relazioni tra questi tre personaggi mettono in scena le differenze tra l’immigrato adulto, sospeso in una posizione di continuo straniamento nei confronti del Paese in cui si è trasferito, e quelle dell’immigrato giovane, che proprio per la sua età – e, dunque, malleabilità- riesce più facilmente ad “integrarsi” nella nuova terra. Anche perché il primo, dovendo guadagnare, ha a che fare quasi esclusivamente con il mondo del lavoro, che lo schiaccia sempre più in basso fino a renderlo un vucumprà in perenne fuga dalle forze dell’ordine, mentre il secondo –potendo studiare- viene in contatto (in questa, come nella migliore delle ipotesi) con un universo più soft ed accogliente, fatto di coetanei che diventano amici e di docenti che si prendono cura di lui. Tra questi ultimi spicca la figura del maestro di scacchi, un gioco che è anche una scuola di vita, che gli insegna le strategie e le regole per vincere, nel gioco come -appunto- nella vita.

Quello che ne esce non è dunque solo un lungometraggio che, destreggiandosi tra dramma e commedia senza scadere mai nel miserabilismo, denuncia la condizione disperata dei migranti, il loro coraggio e la loro abnegazione, ma è anche un racconto sui rapporti generazionali, tra padri spirituali e reali, e sulle virtù pedagogiche del gioco degli scacchi.

Ci si commuove spesso ma si ride anche, durante la sua visione: consigliabile soprattutto a chi, verso l’altro da sé, continua a mantenere un atteggiamento di chiusura e rifiuto, senza pensare che dietro ad ogni immigrato c’è un individuo, che rischia ogni giorno la propria vita –sradicato dalla propria terra- nella speranza di avere un futuro migliore. Cosa che per altro facciamo quasi tutti, ma spesso rischiando molto meno (e standocene magari a casa nostra).

 


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